Certo la legna per
l’inverno non mancava, i boschi
circostanti erano molti e vi era
anche la possibilità di vendere
qualche carro di legname. Poi
qualche castagna, un po’ di
nocciole, una piccola vigna per
produrre un po’ di vinello, qualche
fungo e qualche cereale per il
consumo familiare. Mio nonno
discuteva parecchio con i suoi due
fratelli. Tutti si rendevano conto
che le prospettive di vita in Alta
Langa erano al limite della miseria
e della sopravvivenza. E poi quelle
voci che arrivavano ogni tanto dai
forestieri in arrivo da Alba o dalla
Bassa Langa, quel progresso, quel
benessere di cui sempre più spesso
si sentiva parlare animava le
discussioni dei tre fratelli. Però
dove trovare quel coraggio per
partire? Come lasciare gli affetti
cari e sicuri per un tuffo nel
vuoto?
|
L’incontro
con
nonna
Teresa
cambiò
radicalmente
le
cose
e la
fatidica
decisione
a
lungo
meditata
divenne
di
colpo
concreta
e
realizzabile
in
una
miriade
di
progetti
e
prospettive
che
sembravano
subire
una
rapida
impennata.
La
festa
nuziale
semplice
e
discreta
con
polenta
arrostita
e “soma
d’aj”.
Gli
invitati
pochissimi.
Si
presentarono
solo
i
vicini
di
casa
e
gli
zii
che
abitavano
in
paese;
i
parenti
che
dovevano
arrivare
da
lontano
non
se
la
sentirono
di
affrontare
quel
viaggio
in
quell’inverno
rigido
e
con
quella
spessa
coltre
di
neve
presente
in
Alta
Langa.
|
|
Gli occhi negli occhi i miei
nonni non vedevano che il lato
positivo delle cose con
l’incoscienza, la speranza e la
determinazione dei vent’anni. Nel
primo pomeriggio i festeggiamenti
erano già terminati e all’imbrunire
erano già a letto.
|
Tutta la famiglia si
trasferì nella stalla e i miei nonni
poterono occupare con tranquillità
quell’unica camera da letto. Ma le
condizioni erano ben precise:
sarebbe stato solo per quella notte.
Poi l’incognita più oscura, nessuna
meta, tutto da costruire con
tantissimi obiettivi fissati in
testa.
|
Com’era nel Dna del suo
carattere anche quella sera mio
nonno preferì sbrogliarsi presto e
portarsi avanti con il lavoro.
L’indomani sarebbe sicuramente stata
una giornata impegnativa e i miei
nonni, impazienti, decisero di
affrontarla poco dopo mezzanotte.
Sul tavolo della cucina due “cavagne”
costituivano l’unico patrimonio
della giovane coppia. E d’altra
parte la famiglia aveva fatto
parecchie rinunce e parecchi
sacrifici per riempire quelle due
cavagne: qualche vestito di
ricambio, una coperta, pochi viveri,
qualche soldo e tanta incertezza.
Chissà dove avrebbe portato quella
strada oltre il bivio dei “Tre
Cunei” dove fino a quel giorno
per loro finiva il mondo? Nel buio
pesto della notte con gli zoccoli
tracciavano il sentiero nella neve e
solo sul crinale della collina dove
passa lo stradone che porta verso la
Bassa Langa la via diventò più
libera. Sapevano che era un viaggio
di sola andata, ma non si voltarono
indietro, nessun rimpianto, nessun
ripensamento, ora si doveva guardare
avanti.
|
Al
bivio
per
Rodello
la
fermata
fu
piuttosto
lunga.
Non
per
riposarsi,
occorreva
decidere.
Nessuno
li
attendeva,
ma
discutevano
animatamente
sulle
voci
e i
sentito
dire
valutando
la
via
per
Alba
dove
pare
cercassero
manovali
alla
fabbrica
dei
mattoni
o la
via
per
Diano
dove
una
vecchia
zia
aveva
trovato
fortuna.
Sapevano
che
si
chiamava
Proglio
Anna
ed
era
andata
in
sposa
al
ricco
possidente
Olivero
Filippo,
ma
era
stata
cosa
di
quasi
un
secolo
prima!
|
Il mio
bisnonno era stato parecchio vago
nel fornire indicazioni e sembrava
evidente che i rapporti con la
vecchia zia fossero stati piuttosto
aspri. Il nonno aveva in mente la
fabbrica dei mattoni ed insisteva
per la ricerca di quel lavoro,
inoltre non avendo giuste
indicazioni sulle date, la zia
poteva benissimo già essere morta,
In fondo gli dispiaceva ritrovarsi a
supplicare qualche parente
sconosciuto ed in generale
dover chiedere dei favori a
qualcuno. La nonna invece preferiva
cercare un appoggio, la vecchia zia
anche se non più in vita avrà pur
avuto qualche figlio. Sapeva che in
caso contrario sarebbe stato
parecchio difficile trovare
una sistemazione. Anche una stalla
andava benissimo, ma senza referenze
in quei tempi di miseria e
diffidenza non sarebbe stato facile
bussare alle porte. Incuranti del
freddo rimasero parecchio su quel
ciglio di strada. Non sapevano che
oltre a programmare il loro avvenire
stavano decidendo il futuro di
parecchie generazioni a venire.
Fu la
saggezza della nonna a prevalere, di
fatto non escludendo nessuna delle
ipotesi, si sarebbe passato da Diano
e proseguito per Alba nel caso che
la zia si dimostrasse riluttante ad
aiutarli.
La strada
verso Diano era molto più agevole,
poco più a valle non vi era infatti
traccia di neve e con i primi
chiarori dell’alba apparvero scenari
indimenticabili. Appena varcato il
brusco giro ad U “dell’Oriolo”
le luci dell’alba dipingevano le
nostre colline con giochi di luci ed
ombre che lasciava i nonni senza
parole. Le colline della Bassa Langa
più dolci e meno aspre di quelle a
cui erano abituati erano ben
coltivate a vigneti, noccioleti,
prati erborei e campi in cui il
nonno trovava eccezionale che il
grano fosse già cresciuto rigoglioso
di un bel palmo. Sullo sfondo l’arco
alpino con il Monviso e il Monte
Rosa che parevano delimitare la zona
per loro già perfin troppo ampia. Il
posto era affascinante e
coinvolgente ed il nonno pensava a
voce alta che con tutto quel lavoro
su quelle colline due braccia
forti sarebbero sicuramente servite.
Elencava tutte le lavorazioni che
occorre fare in vigna che
conosceva bene poiché erano suo
compito nel piccolissimo vigneto di
Arguello, 7 filari solamente, ma che
servivano a fornire una “picheta”
per tutto l’anno. Anche la nonna,
spesso schiva e silenziosa, pensava
in silenzio e solo ad un certo punto
le scappò di dire con voce
straordinariamente alta e decisa:”Resteremo
qui”.
Giunti in
piazza a Diano furono colpiti dalla
grazia del piccolo paesino diroccato
su una collina che pareva più
accentuata di quelle circostanti con
la maestosa chiesa parrocchiale che
dall’alto dominava il concentrico.
Era ormai giorno e poco più avanti
incontrarono un gruppo di manovali
che si stava recando al lavoro. Il
nonno ansioso di trovare
un’occupazione corse loro incontro
chiedendo informazioni. Il
capomastro presente nel gruppo
valutò con occhio esperto
quella smania di lavorare, quelle
spalle larghe e quelle due mani
grosse segnate dal duro lavoro dei
boschi e della legna. Non si parlò
di retribuzione, né di tipo di
lavoro da svolgere, né della durata,
l’importante era avere
un’occupazione. Si unì al gruppo e
poco dopo scoprì che si trattava di
allargare il piazzale della Chiesa
trasportando a valle una
grossa quantità di terra e pietre.
Volenteroso e forte si appassionò
subito al lavoro e si fece subito
ben volere dai nuovi compagni. La
nonna desolata rimase sola in quella
piazza con le due “cavagne”.
Avrebbe preferito trovare prima una
sistemazione, anche modesta, ma
capiva e condivideva l’importanza di
un lavoro. Non si perse d’animo e
partì alla ricerca della zia Anna.
Alla prima richiesta di informazioni
scoprì che la famiglia un tempo
ricca e potente si era parecchio
ridimensionata ed aveva venduto
quasi tutte le proprietà. Zia Anna
era già morta da parecchio come pure
un suo figlio. Le fu indicato dove
risiedeva la famiglia, in una bella
casa in Borgo Remondato adiacente
alla piccola Cappella di San
Sebastiano. Come avrebbe voluto
avere il nonno a fianco! Che
fatica dover battere su quel portone
per richiedere un favore con il
rischio che magari riaffiorino
vecchi rancori. Chi venne ad aprire
dichiarò di chiamarsi Gabutti
Margherita e ci volle un bel po’ per
capire e per capirsi. Era la nuora
della vecchia zia Anna morta ormai
da 35 anni. La Signora Margherita si
dimostrò subito affabile, suo marito
le aveva parlato di certi parenti ad
Arguello, ma ormai era già morto
anche lui da sette anni. Si vedeva
che la casa era stata un tempo
grandiosa, ma Margherita non aveva
avuto figli e si intuiva un vago
senso di desolazione. Quando scoprì
il vero motivo della visita, la
Signora Margherita si offrì di
ospitarla nella sua casa grande e
vuota. La nonna fu irremovibile,
troppo signorile, non si sarebbe
trovata a proprio agio e poi voleva
il contatto con la terra. Dopo brevi
trattative concordarono di ricercare
una piccola stanza in affitto, ma
che avesse a disposizione almeno un
fazzoletto di terra. Il fatto che il
nonno avesse già
un’occupazione presso il Capomastro
più importante del paese si rivelò
inoltre un’ottima credenziale.
Valutarono diverse ipotesi, ma la
nonna fu irremovibile nella scelta
di una cucina da cui si poteva
accedere al solaio tramite una scala
interna in legno. Valutò che quel
solaio poteva divenire con poche
modifiche una buona camera da letto
sfruttando il calore della stufa
della cucina. Sarebbe stata
un’ottima soluzione anche e
soprattutto con l’arrivo di qualche
bambino e la nonna sorrise
leggermente al pensiero. Adiacente
alla cucina vi era una buona stalla,
piccola, ma ben riparata ed esposta
al sole. Poco più a valle oltre al
cortile in comune, vi era la
possibilità di allestire un
bell’orticello estirpando quel
piccolo bosco di gaggie. La nonna
dovette sedersi quando la
proprietaria sparò la cifra di
affitto. Era una somma enorme e la
nonna provò rammarico e rabbia
nel dover prendere da sola una
simile decisione.
Si riservò
di decidere entro mezzogiorno. Poco
dopo fu lieta di essere sola in
quella decisione, il nonno non
l’avrebbe mai lasciata
spendere una simile cifra. Non entrò
una seconda volta nella piccola
cucina, ma fece diverse volte il
giro del bosco fino a ridosso della
rocca che dà dritta sullo stradone
per Alba. La vista era quella del
“Giro dell’Oriolo” sui grandi
vigneti che da Barolo arrivano fino
a Verduno attraversando Monforte,
Serralunga, LaMorra e Roddi. Tastò
con le mani diverse volte il terreno
ricco e grasso trovando strano che
fosse eppur sabbioso e drenante.
L’ideale per allestire un bell’orto.
Già vedeva i solchi di verdura e gli
alberelli di frutta poco più in
alto ben riparati da eventuali
tardive brinate primaverili. Mio
nonno non seppe mai l’esatta cifra
che mia nonna si impegnò a
corrispondere ad ogni San Martino
l’11 novembre . Non era il
caso di dargli quel grande cruccio
che lo avrebbe preoccupato parecchio
convincendola magari a desistere ed
optare per una sistemazione più
modesta. Quando verso sera andò a
cercare il nonno sul posto di
lavoro, la cucina era già
completamente ripulita ed accanto
alla stufa accesa una buona scorta
di legna derivata dai rami secchi
del bosco. In quella
cucina con sovrastante camera da
letto nacquero 7 figli tra cui nel
1906 mio padre Secondo detto Pinotu.,
Tutti collaboravano secondo le
proprie possibilità e quelle due
cavagne colme di primizie si
avviavano con la nonna due volte a
settimana per il mercato di Alba. Il
percorso di 7 Km rigorosamente a
piedi per evitare quell’ulteriore
spesa della corriera. Il nonno trovò
presto altre occupazioni presso i
possidenti terrieri del paese dove
non si risparmiava ad eseguire i
lavori più pesanti. Ben presto si
presentò l’occasione di acquistare
quel piccolo rustico e la nonna fu
felice di liberarsi di quel grande
segreto dell’affitto troppo oneroso
che confidò solo in punto di morte
alla figlia, mia zia Gustina. Con
piccoli risparmi e grandi rinunce
acquistarono in seguito rustici
adiacenti ed altri appezzamenti di
terreno che mio nonno lavorava nei
ritagli di tempo, alla
domenica e spesso di notte. Solo
ogni tanto quando si rendeva
necessario ed urgente eseguire i
trattamenti di verderame e di zolfo
nei vigneti di sua proprietà
richiedeva qualche mezza giornata di
permesso. Fu in un’annata
particolarmente piovosa in cui
occorreva eseguire 2
trattamenti a settimana che la
frequenza della richiesta dei
permessi gli valse il soprannome di
“Verdaram” che ancora oggi
contraddistingue la mia famiglia con
gli anziani del paese. In trent’anni
misero insieme, non so come,
un’insieme di piccole proprietà, una
posizione sociale di grande rispetto
e considerazione oltre ad una
ragguardevole cifra al risparmio
depositata in Banca.
Ma la
malasorte era in agguato e tutta la
situazione familiare nel volgere di
poco tempo cambiò radicalmente.
La
terribile crisi economica del 1929
portò i suoi effetti anche a Diano
con il fallimento della Banca di
Bagnolo dove i miei nonni avevano il
libretto al Risparmio. Non ci fu più
modo di recuperare quei risparmi
così faticosamente sudati
consistenti in quasi 30.000 Lire che
corrisponderebbero ad un valore
attuale di circa 230.000 €uro. La
crisi coinvolse anche la cantina che
ritirava le uve dei nonni che già
aveva accumulato due anni di mancati
pagamenti arretrati. Non solo, ma la
nonna già da tre anni aveva a balia,
nonostante i suoi 7 figli, l’ultimo
nato della famiglia proprietaria
della cantina per la somma di 500
Lire annue. Tutto andò perso ed in
famiglia regnava la disperazione più
nera. Mia nonna fu la prima a
reagire, ma sorrideva fuori per dar
forza agli altri e rimuginava
dentro, la cosa più pericolosa. Si
ammalò gravemente e nel volgere di
pochi anni giunse la morte non prima
di patire l’ulteriore dramma della
morte di due figli. Il nonno era
come inebetito senza più alcuna
voglia di fare, totalmente assente
ed estraneo ad ogni interesse.
Pianse per due anni e già debole di
vista divenne via via completamente
cieco. Fu mio padre, primo dei
maschi, a prendere in mano le redini
della famiglia ed il nonno prima
sempre esigente lasciò fare senza
mai intervenire. L’arrivo del primo
nipote, nel 1935, lo scosse e con
grande forza seppe uscire da quella
terribile situazione e ricostruirsi
una vita. Il suo grande carattere,
la sua voglia di fare, con la
volontà e la tenacia dei veri
contadini di Langa seppero imporsi
nonostante il terribile handicap
della cecità. Riorganizzò la propria
vita e sviluppò gli altri sensi a
tal punto che mio padre ebbe in
diverse circostanze il dubbio che
fosse effettivamente cieco. Eppure
completamente al buio egli si
muoveva con la solita naturalezza
svolgendo in egual misura i piccoli
lavori che si era organizzato ad
eseguire. Si accorgeva da ogni più
piccolo rumore ciò che stava
avvenendo intorno a lui e protestava
quando si apprestavano ad accendere
il lume affermando che non era
assolutamente necessario. Afferrava
e posava con sicurezza gli oggetti
ed eseguiva i suoi soliti tratti di
strada con parecchia decisione. Più
difficile gestire gli imprevisti
come ad esempio una sedia lasciata
sui suoi soliti tragitti. Protestava
deciso ed autoritario, ma fu l’unica
battaglia che non riuscì mai a
vincere. Con l’arrivo di altri
nipoti divenne sempre più difficile
lasciare completamente liberi le sue
vie ed un giorno lui cessò di
protestare vivacemente. Per i nipoti
che lo avevano battezzato “Parin Vej”
era un grande divertimento
assicurato lasciare intralci di ogni
tipo sul suo cammino. Si riorganizzò
e con “il suo” bastone rilevava quei
piccoli intralci e schivandoli
con precisione continuava a
camminare deciso. Riprese in mano le
redini della famiglia ed ebbe delle
intuizioni al tempo innovative.
Organizzò una vendita diretta di
latte che gestiva direttamente
riconoscendo al tatto i soldi e con
l’olfatto il tipo di latte di
pecora, capra o mucca. Volle che al
mattino si iniziasse prestissimo
in modo che i clienti trovassero
latte fresco prima dei loro
orari di lavoro già parecchio
mattinieri. Accendeva il lume solo
su richiesta del cliente preoccupati
di quel fare deciso anche
completamente al buio. L’attività
nel giro di poco tempo avrebbe
potuto dare buoni frutti, ma la
seconda guerra mondiale impose
ristrettezze e condizioni di vita
miserabili, in special modo nelle
Langhe dove si concentrarono la
lotta partigiana, repubblichina e
tedesca. Ma anche se non ci furono
spazi e condizioni per una vera
ripresa economica della mia famiglia
i miei nonni hanno comunque lasciato
una grande eredità. Mio padre ha
sempre inteso il lavoro come grande
fatica fisica volendo svolgere
manualmente tutte le lavorazioni
della terra che invece potevano
ormai essere svolte meccanicamente.
Fino a verso gli 80 anni attaccò al
carretto la sua mucca Cita
con cui aveva instaurato un rapporto
eccezionale. Le parlava come ad una
persona e lei inspiegabilmente
eseguiva a perfezione i suoi ordini.
Voleva zappare a mano le vigne,
tagliare a mano l’erba del prato e
presentava una resistenza fisica che
io non sono mai riuscito ad
eguagliare, anche quando io ero
ventenne e lui oltre i 70. Solo
con un grande sforzo fisico si è
completamente appagati, diceva.
Mio fratello Piergiorgio, più grande
di me di 16 anni e purtroppo
già prematuramente scomparso,
non accettava questi ragionamenti e
facevano eterne discussioni. Un
giorno mio fratello si fece prestare
una falciatrice per tagliare l’erba
del prato, ma mio padre cominciò
l’opera a mano alle 3 del mattino in
modo che all’alba quando arrivò il
mezzo meccanico era già a metà
lavoro. Avevo 5 anni e ricordo bene
quella falciatrice scoppiettante che
mio fratello accelerava volutamente
a dismisura. In poche decine di
minuti arrivò a ridosso di mio padre
che pure aveva notevolmente
accelerato il passo. Era una
gara impari. Eppure mio padre non si
schivò e la falciatrice dovette
arrestarsi. Con più calma fini la
sua “andadura”. L’ultima
falciata fu la sua. Poi ripasso a
mano dove era già passata la
falciatrice tagliando qualche ciuffo
di erba. “ Si, si è un bel
lavoro, però…….”diceva non
concludendo mai la frase ogni volta
che un mezzo meccanico faceva ciò
che lui avrebbe voluto fare a mano.
Io non capivo quel suo ragionamento,
ma non ho mai osato controbattere le
sue posizioni, perché immaginavo ed
ora so che hanno radici profonde. Un
giorno nell’ultimo anno della sua
vita, forse sollecitato da qualche
mia domanda, si spiegò meglio: “
Questo modo di vivere vi farà
correre sempre più, la falciatrice
non sarà mai abbastanza veloce,
dovete credere nei veri valori della
vita, soprattutto credere in
voi stessi. Ma dove volete andare?
Le macchine vi porteranno fuori
strada.” Poco a poco sto
cominciando a capire quel suo modo
di pensare. Stiamo correndo tanto,
molte volte senza sapere dove stiamo
andando. Quell’eredità morale
lasciata dai miei nonni, vissuta e
trasmessa dai miei genitori
non è scritta nei testamenti e
negli atti pubblici. Ma ha un alto
valore. Ed è l’unica cosa che
cercherò di lasciare ai miei figli.
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